Ex cantante degli Screaming Trees e una carriera da solista, quando Mark Lanegan aveva venti anni un medico gli assicurò che se avesse continuato a bere a quel modo non avrebbe assistito al suo trentesimo compleanno. Per fortuna invece lo scorso 25 novembre di anni ne aveva compiuti cinquantasette. Purtroppo, però, il prossimo 25 novembre non ne compirà cinquantotto: ci ha lasciati poche settimane fa, il 22 di febbraio. “L’eroina mi ha salvato dal diventare un alcolista”, ha affermato. E non era del tutto ironico. Con giudici e galere ha avuto a che fare tante volte. Da ragazzino fu sorpreso a taccheggiare dalla guardia del negozio di Ellensburg. “La volta successiva che ho rivisto quella guardia”, ha ricordato, “è stato quando mi hanno rimesso in prigione”. Era rientrato per non aver pagato le spese legali del processo che lo riguardava. La guardia era lì, detenuta insieme a lui. “Ecco che cos’è Washingon est”, ha commentato. “Non ci si allontana mai troppo da nessuno”. Con noi a Jailhouse Rock è stato Arturo Salerni, l’avvocato della Repubblica di Argentina nella causa per l’estradizione del sacerdote Reverberi, accusato di complicità nelle tortura del regime di Videla.
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La sera del 21 novembre del 1995 i Green Day si esibivano in quella che allora si chiamava Mecca Arena, nella città di Milwaukee. Billie Joe Armstrong aveva allora 23 anni. Suonarono per circa un’ora. Forse non era un’ottima serata, chissà. E chissà perché pare che a un certo punto lui si infuriò. Il signor Thomas Christopher, che al tempo era il portavoce della polizia di Milwaukee, riferì che il chitarrista “si è lasciato cadere i pantaloni sulle ginocchia e ha esposto le natiche alla folla”. I circa 6.000 fan che erano accorsi alla Mecca Arena di Milwaukee per ascoltare la band si ritrovarono di fronte al suo deretano. E questo, in una paese per bene, non si può fare. E, visto il pericolo sovversivo del gesto, bisogna intervenire prontamente e massicciamente. Alla fine del concerto della band dunque, mentre l’artista entrava in macchina per andarsene, si racconta che sei o sette poliziotti circondarono l’automobile, puntarono le luci sulla macchina e lo arrestarono. Con noi a Jailhouse Rock è stato Francesco Di Bella dei 24 Grana, gruppo napoletano che proprio in questi giorni è tornato in tournée.
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In un giorno imprecisato dell’anno 1963, al numero 201 di W. Commerce Street nella città di Aberdeen, Mississippi, arrivò una lettera. Nel marzo dell’anno precedente Bob Dylan aveva pubblicato il suo primo album. In pochissimi sapevano dell’esistenza di Bukka White, un bluesman delle radici, l’autore della quinta traccia dell’album dal titolo Bob Dylan. John Fahey e l’amico Ed Denson, vedendo che tra le sue composizioni ce n’era una dal titolo Aberdeen, Mississippi, decisero di partire da lì per rintracciarlo. Dopo il suo nome e cognome scrissero tra parentesi “old blues singer”, vecchio cantante blues. Indirizzarono il messaggio usando il servizio di fermo posta. La lettera lo raggiunse e Bukka White tornò al blues. Fu riscoperto e visse una seconda vita. Tra il 1937 e il 1940 era stato in carcere alla Parchman Farm per aver sparato a un uomo. E lì era arrivato John Lomax, cui la Library of Congress aveva affidato il compito di registrare la strepitosa tradizione musicale degli Stati del sud.
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Il 22 novembre 1963 verso le 11.40 l’Air Force One era atterrato all’aeroporto Love Field di Dallas. Circa un’ora dopo, i telespettatori della locale Abc-Tv assistettero a un annuncio dato da un giornalista trafelato che interrompe bruscamente un programma di moda in onda in quel momento. In pochi minuti le auto che sfilavano in corteo, tra cui quella del presidente John Fitzgerald Kennedy e di sua moglie Jaqueline, avevano raggiunto la Dealey Plaza, nel West End. Alle 12.30 il presidente Kennedy era stato colpito da due spari, di cui il secondo alla testa. Il 13 marzo del 2010 Erykah Badu parcheggia la propria macchina sulla Dealey Plaza di Dallas, inserisce una moneta nel parchimetro e comincia a camminare lungo il violone percorso oltre 47 anni prima dal corteo presidenziale. La donna indossa un impermeabile scuro, dei grandi occhiali da sole che le coprono il volto, da sotto l’impermeabile spunta il cappuccio di una felpa che lei porta sul capo. Quasi subito la donna si toglie gli occhiali e li infila nella tasca dell’impermeabile. Continua a camminare, e piano piano si sbottona l’impermeabile. Se lo sfila di dosso e lo lascia cadere dietro di sé. Poi si toglie le scarpe e continua a camminare scalza. Le persone intorno cominciano a girarsi, a guardarla. Ma lei prosegue tranquilla. Si sfila la felpa e la tira dietro di sé, accenna qualche passo di corsa, poi ti toglie la maglia e rimane in reggiseno. Sulla schiena ha un vistoso tatuaggio con la scritta “evolving”. La donna continua a camminare tra gli sguardi delle persone e si sfila l’aderente tuta nera che aveva addosso. È in biancheria intima. Arriva alla curva in cui Kennedy è stato colpito e si toglie prima la parte di sopra e poi quella di sotto. Resta completamente nuda per un istante e poi si accascia al suolo. Stava girando il videoclip del brano Window seat. Fu denunciata e condannata a sei mesi di carcere e 500 dollari di multa per disturbo della quiete pubblica.
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Nei giorni scorsi il “Vale la pena tour” ha visto gli Inti Illimani suonare in vari teatri italiani insieme al cantautore toscano Giulio Wilson. Il gruppo che da quasi mezzo secolo ci racconta le sonorità dell’America Latina, grandi artisti che hanno preso parte al movimento musicale e culturale della Nueva canción chilena, nato in Cile negli anni ’60 del secolo scorso. Vi aveva fatto parte anche Victor Jara, torturato e ucciso nello stadio di Santiago poco dopo il golpe. Loro non saranno in quello stadio perché casualmente l’11 settembre 1973 erano in tournée in Italia. Roma diventerà la loro prigione, terra di esilio. Con noi a Jailhouse Rock è stato Giulio Wilson, per raccomntarci l’esperienza del tour e molto altro. Abbiamo inoltre riproposto un’intervista rilasciata ai nostri microfoni da Jorge Coulón, storico fondatore degli Inti Illimani, che ci ha parlato tra le altre cose dell’esilio scontato nel nostro Paese.
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La sera del 7 ottobre del 1955 alla Houston Music Hall della città di un signore sta smontando dei cartelli il grande produttore jazz Norman Granz aveva organizzato due grandi concerti della leggendaria serie Jazz at the Philharmonic. Da sempre si era battuto contro ogni forma di razzismo e quella sera aveva personalmente smontato i cartelli che portavano le scritte ‘bianchi’ e ‘negri’. “Separati ma uguali”, era lo slogan delle cosiddette leggi Jim Crow, norme statati e locali vigenti soprattutto nel profondo sud che legalizzavano la segregazione razziale. Ma i concerti di Norman Granz non potevano essere segregati. In un momento in cui non era il loro turno sul palco, il grande jazzista Dizzy Gillespie e il sassofonista Illinois Jacquet stavano giocando a dadi dietro le quinte. Così, per passare il tempo. In sala c’era il tutto esaurito, un grande assembramento multicolore. La polizia locale fece irruzione e arrestò Dizzy Gillespie e Illinois Jacquet. Ufficialmente per gioco d’azzardo. Ma tutti sapevano che la vera motivazione dell’arresto non erano affatto i dadi. Ella Fitzgerald si trovava a pochi passi da loro. Stava mangiando un pezzo di torta. Anche lei si esibiva quella sera. Cantava di fronte a un pubblico non segregato. La polizia non era disposta ad accettarlo. Fu portata in cella con gli altri. Con un po’ di contrattazione e un pagamento in denaro fu loro concesso di eseguire il secondo concerto. Con noi a Jailhouse Rock è stato Sandro Portelli a parlare di razzismo negli Stati Uniti d’America.
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Al numero 16 di Redesdale Street, a Londra, nell’estate del 1969 si trasferì Gilberto Gil. Non era solo. Con lui viveva l’amico di una vita, Caetano Veloso, nonché il loro manager e le loro mogli. Rimasero a Londra circa tre anni e poi tornarono nel loro Paese, il Brasile. Il 13 dicembre del 1968 il dittatore militare allora presidente del Brasile Artur da Costa e Silva aveva emanato il famigerato Ato Institucional Número Cinco, l’atto istituzionale numero cinque. Era un decreto presidenziale che ne seguiva altri quattro e ne precedeva altri 12 che suggellava formalmente il fascismo di quel governo. Il 28 marzo di quell’anno, otto mesi e mezzo prima, a Rio de Janeiro la polizia aveva ucciso un giovane studente durante una manifestazione. Altre morti di questo tipo purtroppo seguiranno, ma questa fu una delle prime. La dittatura militare era in piedi dal 1964, quando aveva preso il potere con un colpo di Stato. La morte di questo ragazzo determinò una protesta di massa nel Paese e mesi problematici per il regime. Questo portò, insieme ad altre cose, alla reazione dei militari e all’emanazione dell’Ato Institucional Número Cinco. Con esso si cancellavano libertà fondamentali. Si toglieva di mezzo il Parlamento, si negava l’habeas corpus per reati di origine politica, si dava al presidente il potere di togliere ogni diritto politico ai dissidenti, si mettevano fuorilegge le riunioni politiche. Il pensiero progressista era perseguitato. Non era facile per gli artisti che si contrapponevano alla dittatura militare restare nel Brasile dell’Ato Institucional Número Cinco. Dopo essere stati arrestati con una scusa e aver trascorso un paio di mesi in carcere, Gilberto Gil e Caetano Veloso se ne andarono a Londra in esilio.
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È su un aereo che ci troviamo il 29 di marzo del 1980. Siamo nello Stato del Mississippi. Siamo sul suolo dello Stato del Mississippi. Sì, perché l’aereo non si è ancora alzato in volo. Una signora fa la spia. Chiama l’assistente di volo e avverte che qualcuno ha rubato il megafono che si trovava in un contenitore apposito per l’equipaggiamento di sicurezza. Meno male che l’aereo non si era ancora staccato dal suolo. Immaginate quanto sarebbe stato pericoloso volare senza quel megafono… Avvisato dall’assistente di volo, il pilota in persona uscì dalla cabina di pilotaggio. Rivolgendosi ai passeggeri, tuonò con voce solenne: “qualcuno ha rimosso alcuni dispositivi di sicurezza di questo veicolo. Si tratta di un crimine federale”. Erano stati il tastierista Doctor Fink della band dei Revolution e Prince. Tutto finì con qualche ora a firmare autografi dietro le sbarre. A Jailhouse Rock con noi il rapper Kento e Roman, giovane rapper che ci ha raccontato del suo passato in un carcere minorile.
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